lunedì 21 dicembre 2009

La Trance

La TRANCE è il sinonimo dello stato mentale d’ipnosi.

Esiste però la comune trance di tutti i giorni, che noi proviamo in ogni momento, in cui “facciamo una pausa” e lasciamo vagare la nostra mente.

Il sogno si potrebbe definire una situazione di trance profonda, in cui predomina nettamente l’inconscio.

In generale possiamo parlare di ipnosi e del suo stato mentale, cioè della trance e del suo stato mentale, quando i suoni e le parole che ascoltiamo, le sensazioni che percepiamo non vengono elaborate solo per quello che sono, ma diventano uno stimolo per una serie di collegamenti e immaginazioni interiori.

Nella trance l’attenzione si focalizza all’interno di noi stessi.

Più la trance è leggera, più i canali di comunicazione tra il terapeuta e il soggetto in ipnosi sono aperti.

Al contrario, la profondità della trance dimostra solo se stessa: non è importante, anzi, paradossalmente, una trance profonda potrebbe rivelarsi controproducente, diminuendo l’apertura dei canali di comunicazione.

Quello che è importante è la collaborazione reciproca.

Spesso una persona non sa di essere in trance perché si sente completamente sveglia e le sue aspettative riguardo alla trance stessa sono diverse:

i muscoli del viso si rilassano, i movimenti corporei sono piu’ solenni, quasi faticosi, la respirazione è più lenta e profonda, similmente avviene per il battito cardiaco...compaiono piccole contrazioni delle dita o di altre parti del corpo.

In generale si avvertono rallentamenti delle funzioni corporee personali.

Vi sono inoltre dei segni oculari particolari, come il battito rapido delle palpebre.

Concludo questo breve escursus dicendo che tutti i soggetti sono ipnotizzabili poiché a livello terapeutico è sufficiente una trance leggera.

Anzi più la trance è leggera, più la persona collabora e persegue i propri scopi.

martedì 15 dicembre 2009

Disturbi nell'identificazione sessuale

Normalmente ogni essere umano presenta uno psichismo con caratteristiche sessuali corrispondenti a quelle organiche.

Talvolta, forse sulla base di una predisposizione genetica, l’individuo presenta psicologicamente caratteristiche tipiche del sesso opposto.

Manifestazioni comportamentali tipiche di tale disturbo nell’età evolutiva possono essere scelte di giochi o di abbigliamento tipiche del sesso opposto od anche una accentuata femminilità biologica.

Nelle femmina le cause si riconducono alla preferenza di un figlio maschio anziché di una figlia femmina ribadita nell’ambito della famiglia; nella rivalità fraterna quando il primogenito è un oppressore nei confronti di altre eventuali sorelle.

Nel maschio le cause possono ricondursi al rapporto tra i due genitori in cui si è verificata un' inversione dei ruoli in cui il bambino si identifica nel genitore di sesso opposto, ad esempio una madre autoritaria con padre remissivo, meno dinamico e meno attivo.

Non accettando il ruolo paterno il bambino si identifica nella madre.

Espressioni grafiche nella scrittura maschile : scrittura molto curvilinea con eventuale pressione medio-leggera, eventuali ricerche estetiche; tratti discendenti delle "g " indebitamente poco premuti; riccio dell’ansia; angolosità e contorsione nella zona inferiore.

Espressioni grafiche nella scrittura femminile: evidenti ricerche estetiche che potrebbero essere interpretate come tentativo di sublimare nell’estetismo o nell’arte, l’istinto sessuale considerato negativo sul piano sia morale che estetico.

mercoledì 9 dicembre 2009

I complessi di superiorità e inferiorità

Al momento della nascita il bambino non ha un IO (come principio di indentità) ben strutturato ma solo l’ ES come zona dell’istintività e delle esigenze affettive.

L’ IO si forma molto gradualmente a mano a mano che le strutture organiche si perfezionano e in base alle esperienze che esso stesso vivrà.

La prima esigenza dell’ES è quella affettiva e di seguito quella fisiologica del cibo, integrata a sua volta dalla soddisfazione sessuale (fase orale, anale, fallica).

Entrano poi in gioco l’istinto di conservazione, l’aggressività e l’istinto di ricerca.

In caso di un eventuale contrasto tra Super-Io ed Es, l’IO può patire tale conflitto e risultarne inibito, dando luogo ad un complesso di inferiorità, in primis la svalutazione di sé.

Altri possono essere: un difetto fisico, una malattia prolungata, una situazione economica che per il bambino è negativa.

Altre volte entrano in gioco errori pedagogici ed in tal caso il bambino va spesso incoraggiato in quanto troppi giudizi negativi e ripetuti creano irrimediabili complessi d’inferiorità.

Altro punto è la gelosia fraterna: il primogenito in conseguenza dell’odio verso il fratello subisce il complesso di colpa generando tendenza all’autopunizione che si esprimerà con scarso rendimento scolastico.

Tipico segno grafico indicativo del complesso di inferiorità è la scrittura piccola.

Quanto al complesso di superiorità, è una forma di reattività dell’IO e in tal caso si realizza una forma di narcisismo.

Tipico segno grafico indicativo di complesso di superiorità è la scrittura grande.

lunedì 30 novembre 2009

E' possibile curare la malattia attraverso il linguaggio?

"La mia voce ti voce ti accompagnerà", il bellissimo libro scritto del grande psichiatra nonchè ipnoterapeuta statunitense Milton Erickson, esprime la convinzione che la malattia cronica non fa altro che confermare all'inconscio la cronicità della stessa.

Il linguaggio è innanzitutto emozionale ed esso esprime il vissuto del paziente.

Accanto ad un'espressione verbale incosciente, che si attua solitamente attraverso simboli ed analogie, c'è la relativa espressione fisica che il paziente stesso manifesta.

L'espressione di una determinata afflizione si espleta dunque sia a livello di linguaggio che sul piano fisico, in quanto essa stessa è frutto della realtà interna di una persona, della sua immaginazione che è inconscia ....e mentre il malato parla esprime i suoi sintomi.

Come sottolinea la dottoressa Gabriella Mereu è proprio un processo interno che porta alla malattia, un'emozione negativa che dà origine all'immaginazione ... è dunque il pensiero.. porta alla malattia.

L'immaginazione sviluppa una metafora che è la malattia stessa. Ed è attraverso il linguaggio verbale che si decodifica tale metafora.

Dietro a quasi tutte le malattie, c'è un sentimento di paura, anche se all'origine possono esserci rabbia o sensi di colpa.

E' quindi necessario monitorare il terreno psichico attraverso la consapevolezza che la malattia proviene da noi stessi e dai nostri meccanismi inconsci.

Il legame mente-corpo è indissolubile e la cura si attua nel momento in cui si entra in contatto con se stessi.

Per capire in quale contesto emozionale si sviluppa una determinata malattia, l'esame della grafia può essere di grande aiuto in tal senso.

I soggetti più a rischio di malattia sono i soggetti più rigidi, i più severi, i più formali in quanto soffocano l'inconscio, che nonostante ciò, si manifesta sotto forma di malattia.

La rigidità è la cristallizzazione degli infelici ricordi del passato e della paura di un altrettanto infelice futuro.

La malattia poggia su un terreno depressivo e aggredisce chi non dice a se stesso la verità.

Oltre a ciò, è importante notare la mimica del paziente, il suo modo di guardare, di rispondere, il suo portamento che sono altamente esplicativi.

I sintomi devono dunque essere intesi nel loro contesto personale.

La rigidità e la durezza sono il sintomo ed i vocaboli più ricorrenti, cioè si è rigidi nella malattia cosi' come lo si è nella personalità. La rigidità delle credenze porta all'orgoglio che cozza con il concetto di vita stesso che è mutamento.

Risolvere il problema è prenderne atto, vedendolo e affrontandolo in maniera diversa e modificandone i sentimenti rispetto al problema stesso.

Tutte le malattie sono di origine psichicha: la consapevolezza del significato del sintomo porta alla liberazione dalla paura perchè essa esprime il principio che la malattia viene da noi stessi.

martedì 24 novembre 2009

Sai persuadere per ottenere ciò che vuoi ?

La persuasione è un gioco, e come tutti i giochi ha delle regole, i suoi obiettivi e le sue strategie.

Prestare attenzione a come noi stessi reagiamo da clienti è uno dei modi migliori per sapere come costruire al meglio la persuasione, il nostro modo di persuadere.

Certamente ci sono delle strategie ma non è detto che esse potranno funzionare domani o l’anno prossimo, perché nell’ambiente le variabili cambiano continuamente e non siamo in grado di reagire ad esse.

E allora, come comportarsi?
Come fare a creare uno stato di voglia sfrenata di comprare?
Come fare a influenzare una situazione o una persona ?
Come vendere le proprie idee?

La prima cosa è attirare l’attenzione.

Quando persuadiamo vendiamo delle sensazioni e quindi è necessario credere in ciò che vendiamo.

Il primo passo è comprendere quanto ampia sia la sfera d’azione dell’influenza…non parliamo della stampa, della politica o dell’economia ma anche del modo di presentare le proprie opinioni, il modo di conciliare.

Ci sono alcune regole semplicissime.

La prima regola è far si’ che gli altri si concentrino su un problema formulato con chiarezza e semplicità.

La seconda regola è scoprire perché la questione è cosi’ importante sul piano emotivo per le persone interessate.

La terza regola è proporre una soluzione che soddisfi tutte le parti coinvolte nella relativa applicazione.

Per influenzare l’opinione altrui, bisogna essere abili nella comunicazione.

Se non sapete comunicare , non avete alcuna influenza sulle opinioni altrui.

Il segreto del saper esercitare influenza sugli altri è di aver capito il collegamento tra comunicazione, riconoscimento e influenza.

Tuttavia saper comunicare non significa essere grandi oratori.

La comunicazione è una skill fondamentale, ma essa non si identifica con lo stile, con la ricchezza dell’eloquio .

Al contrario, è la chiarezza di pensiero tradotta in messaggio!

martedì 17 novembre 2009

Come si diventa grafologi?

Nell'approccio alla grafologia c'è spesso la tendenza a credere che essa sia alla portata di quanti abbiano imparato la semplice valenza di alcuni segni.

Questo tipo di approccio non porta naturalmente ad alcun serio risultato nel responso grafologico e perciò i più, disillusi e scoraggiati, sono portati a negare il profondo valore di questa "scienza".

Che altro dire .. se non che lo studioso deve attenersi a norme ben definite quando si accinge all'esame di una scrittura: in primo luogo si accerterà che la scrittura sia armonica o disarmonica nel suo insieme e poi passerà ad una valutazione attenta e coerente di tutti i segni, secondo una determinata classificazione, dando a tali segni il valore relativo che ognuno ha rispetto al complesso della scrittura.

In tal modo e solo in tal modo potrà arrivare ad un responso preciso, completo ed inoppugnabile.

Lo studioso dovrà innanzitutto studiare a fondo e far proprio il significato di ogni segno, in tutti i suoi aspetti, riconoscerli ed esercitarsi.

In secondo luogo dovrà esaminare tutti i segni rilevati, in relazione gli uni agli altri e vederne le risultanti cosicché le varie qualità vengano confermate dalla presenza di più segni.

Oltre a ciò, nozioni approfondite di psicologia sono assolutamente indispensabili per capire al meglio la profondità dell' animo umano e della psiche.

Il principiante dovrà inoltre rifiutarsi di pronunciarsi su scritti di poche righe, semplici indirizzi o numeri; dovrà richiedere di vedere pure la firma e assicurarsi che la scrittura esaminata sia proprio la scrittura ordinaria della persona scrivente, scritta di getto e non convenzionale o artificiosa.

Lungi dal credere di possedere doni speciali di divinazione grafologica, non si lascierà per alcun motivo coinvolgere da risposte lanciate a caso o dettate da semplici impressioni personali.

Il vero grafologo dovrà seguire un metodo estremamente scientifico, rigoroso e già prestabilito poiché solo cosi' non potrà mai sbagliarsi perchè è questo il vero valore del grafologo, vincendo pure l'eventuale tendenza a dire di più di quello che dovrebbe dire.

martedì 10 novembre 2009

La riuscita scolastica

L’interesse dei genitori, l’approvazione, gli incoraggiamenti manifesti favoriscono la riuscita scolastica del bambino/ragazzo attraverso i tratti del carattere che vanno via via formandosi.

Un rapporto del Centro Nazionale per l’Infanzia ha enumerato una serie di componenti riguardanti la riuscita scolastica, reperibili nella scrittura dei ragazzi.

Vediamone i segni.


1/. LA FIDUCIA IN SE STESSI

Avendo fiducia in se stessi si è portati a credere che si può riuscire in ciò che si è intrapreso.

Scrittura : regolare, zona mediana ben sviluppata, tratto pressorio ben nutrito che indica buone risorse energetiche.

MANCANZA DI FIDUCIA IN SE STESSI :

Scrittura : ineguale, non ferma, troppo piccola, tratto troppo leggero, tremolante, ritoccata, le finali delle lettere tendono a salire in alto……il bambino deve essere riconosciuto e incoraggiato.


2/. IL CONTROLLO DELLE PROPRIE AZIONI

Scrittura : chiara, ben organizzata nella pagina con finali brevi e corte.

MANCANZA DI CONTROLLO:

Scrittura: evanescente, con finali slanciate.


3/. LA CAPACITA’ DI INTRATTENERE RELAZIONI

Scrittura:curva, arrotondata, spesso pendente, piuttosto grande, chiara, regolare e precisa.

INCAPACITA' DI INTRATTENERE RELAZIONI:

Scrittura: rigida, angolosa o illeggibile.


4/. L’ATTITUDINE A COMUNICARE

Scrittura: chiara, ben formata, precisa.

DIFFICOLTA'NELLA COMUNICAZIONE :

Scrittura : piccola, con segni di rigidità, ritocchi e tensioni.


5/. LA COLLABORAZIONE-INTEGRAZIONE NEL GRUPPO

Scrittura : pendente, movimenti soffici, curva e legata.

BAMBINO NON COOPERATIVO:

Scrittura: ineguale negli spazi, rovesciata, firma in mezzo o molto distante dal testo.

lunedì 2 novembre 2009

L'evoluzione del grafismo nel bambino

La scrittura attraverso la propria evoluzione è testimonianza dei modi di reazione del bambino nei confronti del suo entourage ed in definitiva della propria struttura caratteriale.


Come scrive Jacqueline Peugeot, nella “ Conoscenza del bambino tramite la scrittura”, “non si può dedurre che un bambino che scrive male non sia dotato dal punto di vista intellettivo…..” .


L’intelligenza non è il solo fattore che entra in gioco nel processo scrittorio, in particolare c’è tutto l’adattamento socio-affettivo e talvolta anche delle difficoltà specifiche.


Ne risulta che di fronte ad una “brutta scrittura” non si sa a quale fattore imputare le cause di questa grafomotricità che non è nella norma.


Una mancanza di stabilità emozionale o l’ansietà del bambino possono inficiare il suo adattamento e quindi l’utilizzo delle sue capacità intellettive a tutto tondo.


La crescita del grafismo nel bambino attraversa tre tappe.


1/. Lo stadio precalligrafico ( 6 -8 anni )


Il bambino debutta alla scuola primaria.

Questo stadio è legato ad una scarsa motricità e ad uno scarso apprendimento.

Difficoltà motrici importanti e un cattivo controllo del gesto sono caratteristici dei bambini dai sei ai sette anni.

Si notano spesso una scrittura grande, lettere rotonde spesso mal tracciate, rovinate nella loro forma, dei collages cioè due lettere attaccate l’un l’altra, linee spezzate, spazi irregolari tra le righe, lettere molto grandi che in realtà dovrebbero essere piccole (ad esempio la lettera e grande quanto una l), lettere tremolanti e riprese.


2/.Lo stadio precalligrafico ( 9 -10 anni )



La scrittura diventa più regolare,ciò nonostante meno rivelatrice, poiché ci sono già degli automatismi in atto.

L’essere maldestro dovrebbe sparire tra i dieci e i dodici anni, quando l’essenziale è stato acquisito.

La scrittura diventa più soffice e più legata ma non ancora personalizzata.

Ben integrata, la calligrafia indica il buon adattamento del bambino, il suo equilibrio, la sua maturità e la sua capacità di integrarsi.


Se tale stadio sarà disatteso all’età di dodici anni, avremo DISGRAFIA ( ecco che dopo un attento bilancio conviene che il bambino sia preso in carico da uno psicoterapeuta).


3/. Lo stadio precalligrafico ( 10 -12 anni )


Tale stadio interessa i ragazzi dai dieci ai dodici anni in cui la scrittura si personalizza e diventa un movimento espressivo.

L’evoluzione della scrittura deve dunque sempre essere messa in relazione con lo sviluppo psicomotorio, mentale e affettivo, con il livello scolastico, l’integrazione sociale, lo sviluppo del linguaggio e fattori di strutture temporo-spaziali.


lunedì 26 ottobre 2009

La volontà: i segni rivelatori

La volontà è una facoltà preziosa nella vita di ognuno, la sola intelligenza non basta.

Gli eterni incompresi, quelli che si lamentano della sfortuna, quelli che attribuiscono all'invidia o alla malevolenza degli altri la propria non riuscita nella vita, non sono che individui privi di volontà.

Un uomo di talento non sorretto da volontà non riuscirà mai a nulla.

Vediamone i segni.

La volontà di forte intensità si manifesta nelle scritture angolose, erette, movimentate e rapide, ascendenti.

La debolezza di volontà appare nelle scritture troppo arrotondate, molli, dal tracciato incerto e stentato, lente e prive di impetuosità.

La volontà stanca e depressa è caratterizzata dalla scrittura discendente e lettere molto pendenti.

Altro segno da prendere in esame è il taglio della t che ci rivela il grado di volontà, sempre tuttavia da considerarsi nell'ambito della scrittura in generale e non preso singolarmente, in quanto esso è un aspeto particolare di un segno geenrale.

La mancanza del taglio t in una scrittura molto arrotondata indica pigrizia, ed unita ad una scrittura molto pendente, sottolinea disordine morale; se mancano poi i puntini sulle i, nel soggetto c'è pure disordine mentale.

Il taglio t corto e sottile rivela una volontà di debole intensità.

Il taglio t corto e forte indica una volontà intensa.

Il taglio t regolare e tracciato a metà dell'asta indica una volontà calma, fatta di costanza e di riflessione.

Il taglio t curvo indica dolcezza, remissione.

Il tagli t, che parte dalla base della t, per ritornare a sinistra e lanciarsi poi a destra, indica tenacia e perseveranza nello sforzo.

Il taglio t che forma un piccolo nodo che si avvolge alla base dell'asta indica pazienza nella volontà.

Il taglio t ascendente indica impazienza, combattività, litigioistà.

Il taglio t sopraelevato indica una volontà autoritaria, spirito di dominio.

Il taglio t dopo l'asta rivela ardore, intraprendenza, prontezza di decisione e precipitazione.

Il taglio t prima dell'asta indica ritardo nell'azione, indecisione e irresoluzione.

lunedì 19 ottobre 2009

Vivere e non sopravvivere!

Carissimi e carissime,

Ho avuto il privilegio di incontrare ed ascoltare Marilena Ferrari, una donna straordinaria e un’imprenditrice di grande successo, fondatrice della “Fondazione Marilena Ferrari”.

Vorrei condividere con voi il decalogo della sua vita, sia personale che lavorativa, affinché diventi uno START UP per tutti noi!

1/. ESSERE AUTORI DEL PROPRIO DESTINO

Non dare la colpa agli altri di ciò che ci succede, se le cose non vanno per il verso giusto.
Dando la colpa agli altri non risolviamo nulla.
E’ normale avere paura.. dipende se vogliamo farcela.
La differenza tra quelli che ce la fanno e quelli che non ce la fanno sta proprio nel fatto che i primi vogliono farcela ed i secondi non lo vogliono!

2/. IL GUSTO DELLA SFIDA!

L’ironia è il sale della vita.
Se facciamo un errore, dichiariamolo!
L’importante nella vita non è sbagliare, è cercare !

3/. ESSERE CAPACI DI RISCHIARE, AVERE CORAGGIO!

La prudenza è una qualità terribile in se stessa in quanto non ti fa procedere e ti immobilizza.
La vera prudenza è saper cogliere i segnali di pericolo.
Il vero coraggio è scegliere e non farsi scegliere!

4/. SAPER CONTROLLARE LE EMOZIONI

La gestione delle proprie emozioni è fondamentale, per non sentirsi preda di fantasmi che non esistono.
E' necessario filtrare sempre le proprie emozioni attraverso la stima e la dignità, che è in ognuno di noi.

5/. SAPER COGLIERE LE OCCASIONI

Il caso non esiste, il caso è “ Dio travestito da caso”.
L’ occasione è un segnale .Come fare a riconoscere le occasioni ?
Innanzitutto bisogna volersi bene, per poter entrare più facilmente in armonia con se stessi e con l’universo.
Le occasioni si autorealizzano quando le guardiamo con gli occhi di un bambino.
“ L’ uomo più vicino a DIO è l’UOMO LUDENS e non l’UOMO FABER “.

6/. FAR PARLARE L’INTERLOCUTORE

Le persone hanno molto da dare e da dire, impariamo ad ascoltarle!

7/. SAPER DIRE “ NO! GRAZIE ! “

Dire "si" è semplice, troppo semplice.
I “ no” sono fondamentali.

8/. ESSERE DISPOSTI A PAGARE IL PREZZO DELLE PROPRIE SCELTE

Gli altri non hanno nessuna autorizzazione a dirci che non valiamo.
Siamo noi che amazziamo i nostri sogni per pigrizia. A volte ci piace fare gli sfigati.
La pigrizia gioca un ruolo fondamentale nella nostra vita ed è ciò che fa la differenza tra una vita e un'altra.

lunedì 12 ottobre 2009

La grafologia nella consulenza aziendale

Negli ultimi anni si è notato una richiesta sempre maggiore del test grafologico o test della scrittura come strumento operativo nella selezione e assunzione del personale.

Tale test è particolarmente efficace per delineare un quadro complessivo ed unitario delle qualità di base della persona stessa. Esso infatti considera l’essere umano nella sua globalità per poter sfruttare appieno le vere capacità professionali del soggetto stesso.

Con ciò non vengono evidenziate solamente le attitudini del candidato a svolgere un determinato lavoro e le capacità personali che potrà farvi confluire, ma anche se il soggetto è più adatto a mansioni di altro genere per poter rendere al meglio.

Solitamente i vari sistemi di selezione non permettono di accertare le vere capacità intellettive del soggetto, il suo senso di responsabilità, il grado di coinvolgimento nei confronti delle varie mansioni che andrà ad espletare, il suo senso del controllo.

Il periodo di prova a cui vengono sottoposti gli eventuali candidati non è poi cosi’ esaustivo, in quanto durante tale periodo ognuno cerca di dare il meglio di sé e una volta ottenuto l’impiego, il rendimento potrebbe essere inferiore a quello preventivato, oppure potrebbero emergere difficoltà di interazione nell’ambito dell’azienda o tra i vari colleghi.


E’ giusto quindi che l’azienda conosca in anticipo le suddette questioni in modo da prevenire scelte sbagliate e poter utilizzare al meglio i propri candidati, onde evitare perdite di tempo e di denaro.

martedì 6 ottobre 2009

Segni di nascondimento e di difesa

In presenza di stati più o meno profondi di disagio, un soggetto solitamente tende a mettere in atto dei meccanismi di mascheramento e di difesa inconsci della propria personalità.

Vediamone allora i segni relativi.


Arcuata

Il tracciato delle m e delle n ad archi rallenta la scrittura e si suppone che dietro a tale istanza ci sia un' impellenza di natura dolorosa e ansiosa. Tale moto è senza dubbio di natura schermante, in quanto tra il soggetto scrivente e l'ambiente circostante c'è uno schermo protettivo inconscio, come protezione della propria personalità.


Ricci del nascondimento

Si tratta di tracciati che ritornano verso sinistra con velocità, nel tentativo di occultare le proprie idee.
Senza dubbio il soggetto prova un senso di insicurezza di fronte agli altri e quindi per difesa, manifesta il desiderio di nascondere i propri pensieri e le proprie azioni.


Ritornante

Si tratta di moti arretrativi che coinvolgono alcune lettere, in particolare m, n, u, i.
Tale segno evidenzia come esperienze dolorose che coinvolgono varie sfere della propria vita possano costituire una forma ansiosa di ritorno del pensiero su esperienze passate.


Margini

Considerando il fatto che il foglio rappresenta l'ambiente in cui ci muoviamo, la scrittura con ampi margini ci parla di un disagio che può portare all'isolamento o comunque a provare impaccio, timore e senso di smarrimento nei confronti degli altri e quindi una condizione di inferiorità che dà un senso di impotenza e di vergogna.


Aste assottigliate

L'assottigliamente delle aste è un segno di trasalimento associato alla sensazione di un pericolo grave ed imminente. Si tratta di una vulnerabilià interna che diventa costituzionale e che talvolta agisce in senso depressivo in soggetti ipersensibili. Secondo il Marchesan è legato ad uno stato ansioso della madre nel periodo della gestazione. Da non sottovalutare tuttvia il ruolo svolto da fattori ambientali ed esistenziali.


Aste rette e ritorte

L'asta retta o ritorta è fonte di irrigidimento o, addirittura, di una fuga della personalità dall'ambiente. Tale irrigidimento può verificarsi per una naturale introversione della persona stessa, per la presenza di complessi di inferiorità, ma anche per la necessità di difendere un proprio modo di essere che viene sentito non adeguato o non accettato dall 'ambiente. Si tratta per lo piu' di soggetti legati a forti norme di ordine morale.


Tagli t arretrati

L'arretramento del taglio t rispettto all'asta manifesta un desiderio di nascondimento. Spesso si manifesta in persone che hanno molte paure di vario tipo, spesso infondate, le quali bloccano le loro capacità decisionali, provocando talvolta la perdita di memoria in situazioni critiche.


Oscura

La non leggibilità della scrittura esprime un desiderio di occultare la propria personalità, per il timore di essere capito, di mettere a nudo la propria personalità.


Occhielli doppi

Si tratta di occhielli divisi in due parti, una inferiore più ampia ed una superiore ristretta.In tale segno è nascosto il desiderio di mostrare una personalità che non è la propria.

venerdì 2 ottobre 2009

La seduzione: che mistero!


La seduzione, presente in ogni rapporto relazionale, scatena dei coinvolgimenti emotivi.

Qualsiasi evento che suscita un senso di piacere rappresenta un atto seduttivo.

Per sedurre occorre produrre emotività in chi ascolta, stimolando un turbamento al fine di creare un'esigenza , un bisogno, un desiderio.

Ogni individuo subisce continue seduzioni quando è in contatto con il mondo esterno.

La seduzione è dunque uno strumento che permette di acquisire grossi poteri di persuasione, di convinzione, che permette di interagire sul comportamento dell'interlocutore finale .

Quindi stimoliamo, seduciamo e coinvolgiamo in ogni momento, in ogni istante della nostra vita!

La seduzione è una necessità per tutti gli individui; è una valvola di sfogo per tutto ciò che si presenta ostile e problematico, che rappresenta frustrazioni o desideri non appagati ... in una parola ...la sofferenza.

L'uomo si dibatte tra la difesa della seduzione e l'esigenza di essere sedotto.

La seduzione crea un flusso energetico, che attiva un desiderio e quindi l'esigenza di possesso nei confronti dell'oggetto, della persona, della cosa, di un' idea e tale possesso appaga l'individuo, lo fa sentire in armonia con se stesso, soddisfatto e felice.

Sedurre vuole dire anche "aiutare qualcuno" a dare un significato alla propria vita, un significato diverso, creando un desiderio al piacere ed al contempo, alimentando il senso di colpa ed il peccato.

Il successo personale e sociale nasce quindi da un desiderio che si autorinforza, grazie a delle difficoltà che successivamente devono essere abbattute e vinte.

Più forti sono tali difficoltà, più forte saranno quelle spinte pulsionali, la volontà di abbattere i propri limiti, le proprie angosce , le proprie paure.

La ricerca del piacere è direttamente proporzionale alla sofferenza subita precedentemente nel turbamento di base.

La comunicazione umana ha quindi un ruolo fondamentale nella seduzione, solo e se se i contenuti in essa creano emotività. Se non siamo in grado di stimolare durante un dialogo, abbiamo perso la nostra battaglia, perchè il tutto non verrà desiderato e quindi rifiutato.

Anche gli obiettivi più difficili possono essere realizzati e anche il sogno più irrealizzabile può essere soddisfatto, a patto che individuiamo gli obiettivi e la scelta dello strumento per raggiungerli.

giovedì 1 ottobre 2009

Comunicazione logica o analogica : che dilemma!

La parola comunicazione racchiude molte varianti di significato e molte parole quali “indicare”, “parlare”, “informare” e cosi via.

Con gli anni comunicare a parole, per farsi capire, è diventata la cosa più importante ma con essa è arrivata pure la prima delusione :
per quanto ci sforziamo di padroneggiare il linguaggio delle parole, alla fine non ci sentiamo capiti!

Come è possibile ? La nostra oratoria non funziona ?

Certamente , poiché crescendo abbiamo dimenticato il linguaggio primordiale , quello non verbale!

I nostri rapporti si basano soprattutto su principi e messaggi diversi da quelli verbali. Quando entriamo in contatto con gli altri è il nostro corpo che parla, al di là del fatto che non ce ne rendiamo conto: …… atteggiamenti inconsci ma reali ?

Due sono quindi i tipi di comunicazione : quella logica ovvero verbale basata sulla parola e quella analogica ovvero non verbale che sfrutta i gesti, le espressioni, i suoni, i toccamenti, l’intonazione della voce, le posture.

La principale funzione della Comunicazione logica è quella di descrivere le cose, di fare affermazioni, di esprimersi, del contatto sociale . Essa si base sulla grammatica e sulla sintassi.

La Comunicazione analogica si rifà ad un rapporto di similitudine o di appartenenza tra il segno non verbale e ciò a cui esso rimanda. Altra funzione è quella di scaricare le emozioni riducendo la tensione, creando un effetto nel rapporto con l’altro, influenzando il comportamento dell’individuo, le sue reazioni.
Essa ha pure una funzione di stimolo ovvero provoca una sorta di eccitazione indotta attraverso i sensi, che investe funzioni e organi interni.

Il linguaggio del corpo

Che ne dite.. avete mai visto un gatto agitare la coda, piegare le orecchie, far le fuse ..e senza bisogno di parole capire immediatamente che esso vuole coccole o vuol mangiare ?

Comunichiamo con il corpo perché i gesti sono più appropriati delle parole quando vogliamo metterci in relazione con gli altri, quando vogliamo stabilire i nostri limiti, il nostro potere, la nostra capacità di influenzare.
Anche quando siamo soli mettiamo in atto comportamenti non verbali. Ci tocchiamo, ci grattiamo, ci stiriamo, ci muoviamo, cambiamo posizione, gesticoliamo….si tratta di comportamenti che hanno una relazione con il nostro passato e che ci fanno rivivere momenti in cui i nostri genitori facevano tali gesti su di noi per confortarci o rassicurarci.

Con il linguaggio del corpo noi comunichiamo le nostre emozioni in riferimento ai gesti altrui.

Noi nasciamo già dotati di una certa sensibilità per i segnali del corpo, solo che con il passare degli anni essa viene perduta poiché la parola ha assunto un’importanza sempre maggiore nella nostra cultura.

L’inconscio

Il linguaggio del corpo è un linguaggio arcaico e primordiale.

Il linguaggio che utilizza il nostro inconscio è proprio quello tipico di un bambino di cinque anni: figurato, semplice, privo di negazioni, di frasi ipotetiche, di parametri temporali.

L’inconscio si nutre di emotività, che può espletarsi in emotività positiva cioè il piacere o negativa cioè il dolore.

Tramite delle stimolazioni esterne, che possono essere verbali e non verbali, si producono degli stimoli interni o pulsioni. Esse creano coinvolgimento emotivo o ansioso nell’individuo che ne subisce l’effetto.

Si potrebbe dire cha comunicazione stimola in maniera energetica l’individuo, creando una tensione psichica, dove per tensione ci riferiamo più propriamente ad una tensione nervosa, alla tensione per gli esami, alla tensione per la guida, ad una grande attenzione, allo stress, alle preoccupazioni, all’ eccitazione…. .

venerdì 18 settembre 2009

I nuovi adolescenti : la scrittura ad occhioni

Vi è mai capitato di vedere delle scritture di adolescenti ?

Provate a chiedere ad un insegnante che cosa ne pensa !

Sembrano tutte uguali, riconoscibilissime : grandi, molto curve, piantate sul rigo, talvolta rovesciate, spazi quasi inesistenti tra lettere, sempre più spesso caratterizzate dalla scrittura ad occhioni, un tempo segno raro... ora non più.

In che cosa si caratterizza questo segno ?

Si tratta della scrittura in cui gli occhielli delle minuscole a,d, g, o, q, tutti o quasi in parte, vengono ingranditi in maniera sproporzionata, rispetto alle altre lettere minuscole, dunque una caduta del tono muscolare, una snervatezza che impedisce un uso appropriato delle proprie energie.

Si parla in gergo tecnico di narcisismo relativamente a chi ha questo segno.

Che vuol dire in pratica? Come si espleta nel comportamento del ragazzo/ragazza ?

L'adolescente che presenta tale scrittura disperde facilmente le proprie energie, non riesce bene a canalizzarle verso un obiettivo definito. Si deconcentra facilmente per una sorte di costante stanchezza , con la conseguente difficoltà a riflettere per arrivare ad emettere un giudizio finale.

Sbalzi d'umore lo fanno fluttuare tra un'altalenarsi di sensazioni contrapposte l'una all'altra; stati di modestia alternati a stati di eccessivo senso dell'Io .

Negli occhioni, ciò in questi grandi occhielli , è proiettata una situazione di indisciplina interiore che può condurre il soggetto a degli scontri con l'ambiente circostante, manifestando atteggiamenti lamentosi, la tendenza a voler stare al centro del cerchio, il lasciarsi attrarre dalle apparenze ... tutti atteggiamenti che celano un forte bisogno di attenzione.

Un segno dunque che riporta i nostri adolescenti ad un' immaturità emotiva di fondo, causata talvolta da un comportamento eccessivamente adulatorio da parte dei genitori, che li viziano oltremodo, oppure da frustrazioni affettive che fissano la persona a stadi infantili, facendo si che la persona si senta al centro dell'attenzione e dipendente dal giudizio altrui.

mercoledì 2 settembre 2009

E tu, hai deciso chi vuoi essere?


Vuoi veramente cambiare la tua vita e allora devi iniziare a migliorare da questo momento … metti la quinta e lanciati !

Non aspettare domani, non serve attendere tempi migliori, serve solo il tuo impegno e tanta tanta pratica… Devi diventare allenatore di te stesso e spingenti oltre, permetterti ciò che fino ad ora non ti sei permesso, uscire dalla tua zona di comfort e solo cosi’ potrai sperimentare il nuovo e impiantare l’embrione del cambiamento.

Tra i bisogni umani cerchiamo innanzitutto di soddisfare il bisogno della certezza, per poterci sentire certi e confidenti in noi stessi ma d’altro lato ricerchiamo pure il bisogno dell’incertezza poiché necessitiamo di variabilità per non cadere nella noia.

E’ giunto quindi il momento di decidere perché solo nel momento della decisione mettiamo in moto quei meccanismi che ci permettono di dirigere la nostra vita in una determinata direzione piuttosto che in un’altra.

E allora, dove sta il problema ?

Semplicemente non sappiamo decidere, o meglio, non siamo abituati a decidere, procrastiniamo le nostre decisioni continuamente, eternamente o le affidiamo agli altri!

Decidi chi vuoi essere, solo cosi’ potrai dare una svolta alla tua vita.

Molti sanno ciò che non vogliono ma non ciò che vogliono. Solo chi decide ottiene risultati.
Siamo stati tutti creati allo stesso modo, con le stesse potenzialità ma a noi è affidata la bacchetta magica per decidere se diventare persone di successo, senza porci limitazioni di alcun tipo.


Le decisioni portano ad azioni, le azioni a risultati, positivi o negativi, la vera e unica strada per poter indirizzare la vostra vita .

I fallimenti non esistono, esistono solo risultati.


E allora, DECIDETE COME DEVE ESSERE LA VOSTRA VITA!

martedì 1 settembre 2009

Tabù: gli spazi bianchi del foglio sono gli spazi bianchi che hai paura di occupare?


Nel lavoro di analisi di uno scritto si dovrebbe sempre iniziare con una osservazione globale dello scritto, in modo da prendere coscienza tramite il nostro Intuito della realtà che effettivamente ci appare. Solo in un secondo momento l’attenzione ne valuterà e interpreterà il tutto razionalmente.

Per la grafologia il foglio rappresenta l’ambiente in cui si agisce e colui che si accinge a scrivere inquadra il suo scritto in tante maniere e nel modo che crede opportuno.

Potremmo avere scritture dal margine sinistro crescente o descrescente, dallo spazio tra lettere o interlettera largo, stretto o giusto e cosi’ via.

La sperimentazione pratica, che è poi la base su cui poggia la grafologia, ci dice che chi scrive lasciando poco spazio tra le varie lettere tende al rigore intellettuale, ad essere parsimonioso e concentrato su se stesso. Al contrario chi ha un interlettera larga tende a spendere, è benevolo, accomodante ed indulgente, sa parlare ed ascoltare.

Lo spazio tra lettere giusto o interlettera giusta è legato al senso di giustizia, di obiettività, alla saggia amministrazione delle proprie cose, alla capacità di ascoltare gli altri, alla comprensione delle ragioni altrui.

Lo spazio bianco tra parole rappresenta il momento di riflessione dell’attenzione verso l’interno, un momento di introspezione per tradurre il nostro pensiero in parole e frasi scritte.

Quando fra una parola e l’altra c’è poco spazio o la distanza è nulla, detto anche stretta tra parole, ciò significa scarsa capacità di riflessione sul nostro pensiero o per meglio dire impulsività e ipocritica.

Uno spazio tra parole eccessivo o larga tra parole indica perplessità, eccessivo controllo sul proprio pensiero e quindi molta autocritica. Si tenga presente che la scrittura veloce indica velocità di pensiero e perciò meno bisogno di spazio.

Un giusto spazio tra parole indica obiettività, prudenza, critica costruttiva, scetticismo, capacità scientifiche, amministrazione oculata.

Lo spazio tra righi o ( righe) ci dà importanti informazioni sulla psicologia della persona, che si ricollega ad una sfera personale , intima. E’ l’istinto che ci porta a distanziare i righi uno dall’altro, cosi’ come quando una persona si avvicina troppo a noi e sentendoci a disagio, tendiamo immediatamente a ristabilire la nostra personale distanza.

Una notevole distanza tra righi porta a schifiltosità, xenofobia, selettività nelle amicizie; al contrario, poca distanza tra righi, porta a facilità nei contatti con le persone, facile promiscuità, confusione tra sacro e profano.

D’altra parte anche una mancanza totale di schifiltosità porta la persona ad adattarsi alla sporcizia con danno o pericolo per la propria salute.

Uno spazio tra righi variato porta ad una schifiltosità moderata, precisione concettuale, facilità di approccio con le persone dell’ altro sesso, pulizia della propria persona senza cadere negli eccessi.

mercoledì 5 agosto 2009

La scelta del partner nella coppia

La scelta del partner per ogni individuo è influenzata da molteplici elementi di carattere individuale, familiare, socio-culturale, economico, etico, morale e religioso. Parliamo suvvia di quelle affinità elettive che il caro Goethe amava definire “una sottile affinità chimica in virtu’ della quale le passioni si attirano e si respingono, s’associano, si neutralizzano e poi si separano e ricompongono un’altra volta”.

Nella scelta del partner entrano in gioco sia il contesto sociale in cui l’individuo è inserito, che la struttura della società e le misure di controllo da essa adottate. Oltre a ciò differenze culturali interagiscono nella nascita di una coppia, quali un partner imposto dal nucleo familiare, basti pensare alla cultura indiana, o l’unione con consanguinei , tipico di alcune tribu’ africane e non ultimo la scelta apparentemente libera, ma in realtà condizionata, da norme sociali che proibiscono ad un individuo di sottrarsi al proprio ambiente sociale, culturale e professionale.
Tali norme, trasmesse attraverso regole di comunicazione e giochi relazionali, comportano un comune sistema di valori che crea un reciproco condizionamento verso un percorso decisionale condiviso.
La nascita di una coppia è anche condizionata dal modello familiare, la cui maggiore o minore influenza dipende dal livello di differenziazione che un individuo ha raggiunto rispetto alla propria famiglia d’origine.

Oltre a ciò, non possono essere sottovalutati importanti fattori psicologici individuali che intervengono in tale scelta e che si strutturano nell’infanzia, condizionando le modalità di relazione ed il comportamento in età adulta. Ecco allora che la scelta dell’oggetto d’amore potrà avvenire per appoggio, secondo il modello delle originarie relazioni genitoriali oppure per traslazione, operando una scelta per analogia o per esogamia, scegliendo un partner completamente diverso dall’imago genitoriale.

Nell’incontro di due individui, “l’incontro umano è per prima cosa empatia degli inconsci“ come sostiene Dacquino, ma l’attrazione reciproca scatta prevalentemente per un interesse corporeo su cui si innescano componenti emotive e relazionali ben definite.
L’attrazione dà l’avvio al gioco della seduzione tra colui che la esercita e colui che la subisce ed in tale rapporto entrano in gioco tutti i sensi e l’intera corporeità: la mimica, la voce, la gestualità, la postura.

Il linguaggio gestuale predomina su quello verbale, la donna tende a privilegiare la percezione uditiva mentre l’uomo i canali visivi e olfattivi per inviare e percepire segnali che rievocano emozioni intense, legate a vissuti relativi al proprio rapporto corporeo bambino-madre.
Il potere seduttivo è quindi frutto di un fusione tra elementi estetici e psichici che rientrano nell’immaginario collettivo; è una dote che ciascun individuo acquisisce integrando le proprie qualità consce ed inconsce.

Note sull'autore
Emanuela Benvegnu' Analista della Scrittura, specializzata in Psicologia della Scrittura e del Disegno, Master in PNL e in Ipnosi Ericksoninana. http://eulalia1122001.blogspot.com/
Profilo autore:
emanuela

http://www.article-marketing.eu/salute-e-benessere/medicina/la-scelta-del-partner-nella-coppia.html

martedì 7 luglio 2009

Gli occhielli nella scrittura

I segni che riguardano gli occhielli sono molto importanti per la grafologia e la psicologia in generale, perché il loro significato tocca il centro nevralgico della personalità: l’Io.

Infatti nel cerchio l’Io vede proiettato se stesso in rapporto al mondo esterno.

L’occhiello è formato da una circonferenza (cerchio), che racchiude un’area, di conseguenza c’è una polarità tra la sua parte interna ed esterna.

In presenza di occhielli aperti la persona si apre agli altri, all’ambiente sociale: questo implica fiducia, slancio, volontà di vivere e quindi emozioni intensissime.
Un’ eccessiva intensità di occhielli aperti non è sopportabile per una persona comune: la sensibilità della persona è ai massimi livelli e ciò porta maggior dolore e amarezza per la cattiveria umana e per la bruttura. La persona è in balia delle onde. E’ il rovescio della medaglia. La valutazione del segno va fatta per conta degli occhielli con le aperture.

Le tendenze relative al segno sono: sensibilità per la bellezza in tutte le sue forme; fiducia e apertura verso l’ambiente esterno, intensa vita interiore.

Alcuni occhielli sono tracciati due o piu’ volte intorno a se stessi e ciò indica chiusura ermetica ed accentuata.

Gli angoli nella scrittura indicano sempre fastidio, dolore.

Gli occhielli angolosi in alto, cioè alla sommità, indicano tenacia ideologia, un blocco verso le opinioni altrui, solitamente quando un pensiero diverso contrasta con il nostro. Come in tutte le cose, entro un certo limite la tenacia è una tendenza sana, perché porta a conservare il patrimonio di esperienze positive della persona stessa mentre la sua esasperazione, cioè gli occhielli aguzzi in alto, porta all’ostinazione, che è una forma di orgoglio.

Gli occhielli curvi in alto o alla sommità indicano un’ eccessiva cedevolezza delle proprie opinioni e ciò comporta notevoli inconvenienti: la persona diventa succube delle varie stimolazioni esterne, quali ad esempio la pubblicità, manca di opinioni ben radicate, non può assumere cariche direttive perché manca di difese del proprio operato e non per ultimo, in età adulta potrebbe avere difficoltà nell’educare i figli.

Gli occhielli possono essere variamente angolosi quando una scrittura presenta una vasta gamma di occhielli di vario tipo, angolosi in basso , angolosi in alto, curvi e cosi’ via. Tale segno, molto positivo, indica duttilità mentale, quindi abilità nell’esaminare le opinioni degli altri, senza respingerle a priori perché diverse, giusta autocritica e autorettifica, ricredibilità in caso di sospetti concepiti a carico degli altri, credulità moderata e una buona difesa del proprio operato sul lavoro.

Gli occhielli angolosi in basso o alla base indica risentimento, tendenze colleriche e se in numero eccessivo, permalosità. E’ tipico delle persone che cercano lo scontro, reagiscono alle offese in modo esasperato, che si indignano per inezie.

Gli occhielli curvi in basso indicano il polo opposto della permalosità, portano l’individuo ad incassare le offese e le angherie senza reagire, temendo di turbare la propria tranquillità e incuranti di ristabilire un senso di giustizia.

Altri segni fanno capo agli occhielli in grafologia ed essi si rifanno al rapporto tra larghezza e l’altezza.

Nel modello calligrafico gli occhielli sono solitamente ovali.

Quando l’occhiello si presenta schiacciato in senso verticale o stretto di lettera si ha una deformazione che simboleggia un vuoto, la mancanza di interiorità e quindi relativa superficialità. La persona che presenta tale segno a livello intellettivo tenderà a formarsi una cultura enciclopedica, a conoscere molte cose ma nessuna veramente a fondo.

Quando la larghezza dell’occhiello è proporzionata all’altezza o larga di lettere siamo in presenza di una persona che tenderà a scavare per conoscere le cose in profondità.
In presenza di un giusto larga di lettera le tendenze del segno saranno obiettività, visione globale della realtà, vita interiore ben armonizzata in rapporto alla realtà esteriore, capacità di integrazione in qualsiasi ambiente.

In presenza di un eccesso di larga di lettere o dilatata avremo un eccesso di profondità, quindi immobilismo sia mentale che fisico.

Talvolta possiamo trovare degli occhielli doppi, cioè occhielli che al loro interno presentano un altro occhiello piu’ piccolo in alto a destra o a sinistra, che non supera i due terzi della grandezza dell’occhiello stesso. Alcuni autori attribuisconio a tal segno un significato esclusivamente negativo, di tendenza all’insincerità e all’ambiguità.
Diciamo piuttosto che esso porta la persona a cercare sempre il rovescio della medaglia,a equivocare su tutto, a vedere sempre i due lati opposti di una questione.
La negatività del segno sta proprio nel difetto o nell’eccesso. La mancanza del segno porta ad incapacità di cogliere le contrapposizioni insite nella realtà, poca diplomazia, come pure l’essere di parte.
Nella misura ottimale il segno diventa utile perché da alla persona una particolare attitudine a cogliere le contrapposizioni insite nelle idee, la capacità di difendersi dalle insidie verbali.

Se l’occhiello presenta al suo interno due occhielli piu’ piccoli, detti propriamente doppi occhielli doppi, secondo alcuni autori potrebbe essere sintomo di sfaldamento della personalità. Diciamo piuttosto che in esso è proiettata la tendenza a frapporre tra la propria idea e l’interlocutore, piu’ idee che servono da schermo, per occultare il proprio pensiero. Si riflette una doppia ambiguità che diventa cosi’ trainante per la persona stessa che fatica a distinguere il vero dal falso.

Gli occhielli a ruota, il cui tracciamento in senso orario porta ad un movimento ad arco, proietta una determinata forma ansiogena, un’ansia dissimulatrice cioè la finzione. Essa ha origine da una pressione educativa molto forte o comunque da una educazione mal tollerata.

Ecco in breve una panoramica dei vari segni riguardanti gli occhielli, quel “cerchio perfetto” simbolo di interiorità e profondità, che nel corso dell’automatizzazione della scrittura si evolve, portando alla luce un Io complesso e sempre diverso, a seconda della sua forma.

martedì 30 giugno 2009

Saper dire no

Perché è cosi’ difficile dire no?

La paura di essere considerati aggressivi, di essere rifiutati, il desiderio di non deludere coloro che amiamo sembrano essere all’origine di questa particolare forma di autocensura. Molti di noi hanno vissuto e vivono ancora simili esperienze e incontrano difficoltà ad opporre un rifiuto a proposte contrarie ai propri desideri e alle proprie aspirazioni profonde, ai propri interessi.

Spinta all’estremo la difficoltà a dire di no può rivelarsi insidiosa e spiacevole, talvolta molto pericolosa.

Abbiamo tutti incontrato persone intrappolate in relazioni malsane, persone il cui spirito d’indipendenza è insufficiente a dare loro il coraggio di dire di no. Viviamo accanto ad individui trattati ingiustamente sul posto di lavoro, ma che mancano di fiducia necessaria per affrontare la situazione. Ci imbattiamo spesso in persone che per varie ragioni non dicono no a situazioni che pure ostacolano il loro sviluppo personale e minano la loro identità. In questi casi saper dire di no non costituisce una semplice rivendicazione, ma è quasi una questione di sopravvivenza.

Poter dire di no permette di acquisire fiducia e di affermarsi come individui indipendenti e autentici; poter essere se stessi, attivi, senza per questo distruggere o ferire l’altro; facilitare i rapporti umani in tutti i campi della vita quotidiana.

Convinciamoci dunque che un no è senza dubbio positivo. Un no utilizzato consapevolmente da chi lo pronuncia dà la sensazione di esistere e consente migliori relazioni in un contesto positivo. Viceversa, un no inopportuno e sistematico produce esattamente l’effetto contrario. E’ il no ostinato che non tiene conto di nessuna situazione e che è sostenuto dalla certezza di aver sempre ragione. E’ il no irresponsabile, assurdo, che rifiuta la legge perché è legge: in tutti i casi, è un no che inibisce ogni comunicazione, ogni discussione.

Paradossalmente, avere il coraggio di dire di no favorisce scambi piu’ autentici. Fissare dei limiti dicendo no è un modo per farsi rispettare. Pian piano capiremo che se ascoltiamo e affermiamo i nostri desideri, gli altri faranno altrettanto. La sincerità verso se stessi, l’intenzione di comunicare il vero sé, di farlo accettare, implica anche il rispetto dell’altro; se pensiamo che esistiamo con le nostre esigenze, dobbiamo pensare che anche l’altro esiste con le sue e arriveremo a comprenderlo meglio. Un no senza aggressività, ma fermo e deciso permette di comunicare piu’ liberamente, piu’ onestamente. E’ un no che ha un effetto positivo, che fa progredire. E’ un no attivo, maturo, un no che permette di essere piu’ dinamici e sentirsi piu’ gratificati nella vita e nel mondo.

E’ senza dubbio piu’ facile dire di si’: l’adagio “chi tace acconsente” porta a crederlo.
Per esprimere un no, non bisogna solo pensarlo ma anche osare dirlo.. e spesso non si osa. Sarebbe come rilevare il negativo di sé, porre i propri limiti, ma, nello stesso tempo, esteriorizzare ciò che può essere percepito come una contestazione. La società aborrisce questo tipo di manifestazioni e non le facilita. Il no crea disordine, rompe gli equilibri. Il si è a favore dell’educazione, dell’obbedienza, del rispetto; non cosi’ il no. L’individuo arriva ad assumere la certezza di dover essere compiacente, cedere davanti alla legge esterna per facilitare i rapporti sociali e ridurre le tensioni. Il peso di questa censura collettiva, senza dimenticare il senso di colpa, resta pregnante per tutta la vita.

Cosi’ non prendiamo atto dei nostri desideri e prendiamo l’abitudine di negare i nostri bisogni. Ci si deve conformare. Avere il coraggio di dire di no significa uscire da uno stampo comune, confortevole e rassicurante, introducendo un distacco nella relazione.
Differenziandoci, ci affermiamo come individui volitivi e autonomi.

Perché allora questa difficoltà a dire di no è sentita da cosi’ tanta gente ?

Un primo ostacolo potrebbe essere il credere di non averne il diritto o il fatto di non doverlo fare perché cosi’ ci è stato insegnato, riflesso incondizionato della nostra educazione. Aggiungiamo poi la stanchezza che talvolta proviamo, quando l’altro insiste pesantemente, alla sola idea di argomentare un rifiuto e di sostenerlo.

Le ricadute sono a volte paradossali: chi ha detto no finisce per dire si … e questo vale spesso per i rapporti sentimentali. Dire no riuscirebbe a scatenare un conflitto. Sorge inoltre la paura di essere criticati.

Auguriamoci dunque che possiate imparare al piu’ presto a non dire piu’ no a voi stessi e a diventare forti, sicuri e indipendenti.

Il coraggio di cambiare, di riprendere posizione e seguire le vostre inclinazioni e i vostri desideri vi permetterà di esercitare un vero controllo sulla vita e sul vostro avvenire. Prendendo le distanze da ciò che non volete e cercando di perseguire i vostri obiettivi, avrete coscienza di voi stessi in quanto esseri umani nel senso piu’ nobile del temine. Assumere le proprie decisioni, invece di lasciarvi guidare dagli eventi, rafforza la stima di sé.

Il coraggio di dire di no vi farà partecipare piu’ attivamente alla vostra vita e a quella degli altri: esprimete l’individualità, rifiutate le scelte che vi divorano, il conformismo e la sottomissione che vi annientano. Non siate cloni gli uni degli altri. Dite no con convinzione, sostituite l’azione all’apatia, la partecipazione alla passività e l’impegno all’inerzia.

Vivete il no come un’avventura!

mercoledì 24 giugno 2009

Siete razionali o intuitivi ?

E cosi’ credete di essere razionali, non è vero?

Bè, non siete i soli: il credersi razionali è comune alla maggioranza delle persone, convinta che le decisioni che si prendono solitamente siano la logica conseguenza di valutazioni razionali.

In realtà le decisioni che abitualmente prendiamo hanno un margine di irrazionalità ben piu’ ampio di quanto noi siamo portati ad ammettere.

Non a caso molti studiosi supportano il concetto di “razionalità limitata” nelle scelte, in quanto fattori non preventivati e fuori controllo intervengono nelle nostre decisioni, come ad esempio l’impossibilità di ottenere informazioni complete e/o credibili, oppure il non riuscire a tener conto di tutte le circostanze che potrebbero verificarsi.
La comunicazione stessa risulta essere talvolta ambigua o volutamente distorta per motivi opportunistici.

Oltre a ciò, non possiamo negare l’effetto delle emozioni sui nostri comportamenti :

che dire della rabbia che ci fa agire in maniera impulsiva ?
e dell’amore, l’affetto, l’amicizia che possono alterare le nostre percezioni e/o capacità di giudizio ?
e della paura che annebbia la mente portandoci a essere troppo difensivi o troppo aggressivi ?
e ancora della gioia e dell’entusiasmo che possono darci un’illusione di controllo ?

Si tratta di influenze difficili da controllare anche se le riconosciamo.

Ma ben altri fattori, ben piu’ subdoli, influenzano generalmente i nostri atteggiamenti, di cui non siamo consapevoli. Si tratta di “predisposizioni”, di “inclinazioni”, dette anche in gergo tecnico [[bias cognitivi]], generati dall’esperienza, come taluni comportamenti evolutivi propri della persona stessa o perchè no, dalla visualizzazione di determinati dati o fatti e quindi anche quando crediamo di essere freddi o oggettivi e di avere a disposizione tutte le informazioni necessarie, le decisioni e i comportamenti acquistano sempre un certo margine di imprevedibilià e di “irrazionalità”.

Tendiamo naturalmente a giudicare il valore delle cose o delle alternative disponibili non tanto in modo assoluto, quanto comparandole con altre che conosciamo bene; e quanto piu’ la valutazione relativa è semplice e diretta, tanto piu’ ci sentiamo rassicurati e soddisfatti nelle nostre scelte.

Molte sono dunque le “tecniche di influenza” messe a punto per spingere le persone verso un determinato comportamento desiderato, in primis la pubblicià subliminale, e che sfuggono ad un controllo cosciente, sfruttando automatismi psicologici e comportamentali, sulla base di interazioni semplici e sulla nostra quotidiana fretta, stress, incertezza, indifferenza, distrazione o affaticamento.

Concludo questa breve riflessione sottolineando che forse l’assunzione di razionalità, pilastro della nuova scienza moderna e a noi tutti tanto cara, è forse un assioma non dimostrabile in assoluto e a volte ingannevole sotto molti punti di vista.

martedì 16 giugno 2009

Io sono OK, tu sei OK ?

Prendo spunto dal famosissimo libro “ Io sono OK, tu sei OK “ di Thomas A. Harris per fermarmi un momento a riflettere sulle comunicazioni (transazioni) che si instaurano nelle relazioni tra due o piu’ persone, quando vengono in contatto tra di loro.

Allontaniamoci dall’inconscio per focalizzarci piuttosto sui ”ruoli” che le persone inconsapevolmente “recitano” quando interagiscono tra di loro, rifacendoci a tre concetti base : il Genitore, l’Adulto e il Bambino.

Ogni persona infatti si comporta come un Genitore piuttosto che un Bambino o un Adulto a seconda dell ’interazione con l’altra persona e della situazione che si è innescata tra loro in quel determinato momento.

Cominciamo molto presto a formarci convinzioni su noi stessi e sugli altri. Le considerazioni che facciamo già nella nostra infanzia ci restano impresse e ci portano a decidere quale posizione o ruolo assumeremo nella nostra vita.

In base alla quantità e qualità di amore e di affetto che abbiamo ricevuto nella prima parte della nostra vita, in base al clima familiare e sociale che abbiamo sperimentato, possiamo dire di noi “ Io vado bene e quindi sono OK “, “Io non vado bene e quindi non sono OK “ e, per quanto riguarda gli altri, “ Tu vai bene e quindi sei OK “, “ Tu non vai bene e quindi non sei OK”, prendendo in prestito il termine OK dall’ Analisi transazionale .

Ecco allora le coppie antitetiche e simmetriche che possono formarsi come in una specie di teorema a quattro enunciati :


“ Io non sono OK, tu sei OK”

Rappresenta il tipico atteggiamento dell’infanzia, in cui il bambino, quindi “non OK“, dipendente e privo di autonomia, ha bisogno di carezze e protezione dalla madre, che “è OK”, cioè dispensatrice di serenità e calore.

Anche se siamo inevitabilmente dipendenti durante l’infanzia, molti di noi a causa di vari fattori, continuano a considerarsi inferiori e a mantenere un atteggiamento di autosvalutazione verso se stessi per tutta la vita.

Si tratta di un tipo di persona accondiscendente e passiva, che crede di non aver mai nulla da dire di interessante, di non meritare stima e amore dagli altri a causa del proprio scarso valore, in quanto gli altri sono sempre migliori.

Tale individuo può reagire evitando i contatti sociali o, al contrario, esasperando gli altri per avere la conferma del suo credersi negativo, con atteggiamenti ribelli o provocatori, oppure annullandosi, pur di guadagnarsi un minimo di considerazione da parte degli altri.


“ Io non sono OK, tu non sei OK”

Se la figura materna non è stata prodiga di carezze, fredda e poco comunicativa, poco incline a dispensare gesti d’affetto, il bambino si convince di "non essere OK" ma che anche gli altri “non sono OK”.

Egli sente che il mondo intorno a lui è indifferente, come nel caso di genitori che hanno problemi relazionali o di affettività, oppure troppo duro, come nel caso di genitori troppo severi o violenti, a cui lui è incapace di reagire.

Chi assume tale reazione ha un atteggiamento di resa e di sfiducia nei confronti della vita in generale. Vive in uno stato di angoscia, convincendosi talvolta dell’inutilità del proprio vivere (ecco l’uso di droghe e alcool) oppure mantenendo un atteggiamento di diffidenza verso tutti e tutto, interpretando qualsiasi gesto o azione come non sincero o interessato.


“ Io sono OK, tu non sei OK”

Se un bambino è stato trattato ingiustamente o brutalmente dai genitori, può convincersi di essere la vittima (“Io sono OK“) e che gli altri siano i cattivi (“Tu non sei OK“), si sentirà rifiutato e cercherà di consolarsi da solo.
Questo tipo di persona può sentirsi vittima per tutta la vita e tenderà a deresponsabilizzarsi, dando sempre la colpa agli altri di ciò che gli succede.

Ecco allora che la persona può deprimersi, proiettare la sua negatività sugli altri, può fare lo spaccone oppure il criticone.


“ Io sono OK, tu sei OK “

Fra i primi tre atteggiamenti del tutto inconsci, che si fondano sull’emotività, sulle impressioni, sui pregiudizi e quest’ultimo, vi è un grosso salto di qualità.

Essendo un atteggiamento cosciente, esso si fonda sul pensiero, sulla fiducia negli altri e quindi si decide consapevolmente di adottarlo e di farlo proprio.

E’ la posizione di vita di chi riesce a esprimere in modo equilibrato il Bambino che ha in sé (che riesce a esprimere le proprie emozioni), l’Adulto che ha in sé (che apprezza se stesso e gli altri) e il Genitore che ha in sé (che è saggio e prudente, che impara dai propri errori).

Arrivare a far proprio un tale atteggiamento presuppone un lungo e a volte doloroso processo di autovalutazione, di autocritica, di amore e protezione verso se stessi, indebolendo e accantonando vecchie registrazioni dentro di noi e sostituendole con comportamenti nuovi e positivi.


E voi, in quale di queste coppie vi ritrovate ?
Che cosa c’è da cambiare nella vostra vita ?

Ricordate che tutto è possibile, basta volerlo !

venerdì 22 maggio 2009

Le origini della PNL

La PNL nasce nel 1974 all’università di Santa Cruz in California e oggi è ampiamente diffusa a livello mondiale.
In quell’anno due giovani americani, John Grindler, laureato in linguistica e Richard Bandler, laureato in programmazione ed informatica, scoprirono alcuni processi cerebrali. Il loro obiettivo era scoprire i modelli messi in atto da persone di successo, e a questo scopo, esaminarono tre figure molto note a quel tempo.

La prima persona che studiarono fu un ebreo Frederick Salomom Perls, un ebreo tedesco che aveva contribuito a sviluppare e a rendere famosa una derivazione della tradizionale terapia Gestaltica tedesca. Egli si era reso conto che tale terapia era in grado di indurre cambiamenti migliori e piu’ rapidi nei suoi pazienti.

La seconda persona che presero in esame fu Virginia Satir, la psicoterapeuta che creò la terapia della famiglia, basata sul fatto che se uno ha dei gravi problemi per una situazione personale, questa contagia tutta la famiglia. Se la persona va in terapia, può curarsi, ma la famiglia continua a contagiarla.

La terza persona che osservarono fu Milton H. Erickson, inventore della terapia ipnotica o ipnosi clinica. Considerato il piu’ grande ipnotista clinico del XX secolo, egli era famoso per le sue tecniche, al punto che poteva ipnotizzare una persona solo salutandola.

Richard Bandler aveva avuto un’infanzia assai problematica e la consapevolezza di aver subito molti traumi lo portò a seguire una seduta di terapia di gruppo diretta da Perls e da li’ cominciò ad approcciare la Gestalt.

John Grindler conobbe Richard Bandler all’università. Egli pensò di inserire nell’ambito del suo dottorato di linguistica il corso di terapia della famiglia di Virginia Satir. Annoiandosi non poco durante le lezioni didattiche, cominciò a fare delle statistiche e studiò il comportamento di Virginia, scoprendo cose molto interessanti, ad esempio che quando si spostava a sinistra, iniziava con il piede sinistro, muoveva la mano sinistra, la respirazione era toracica….e cosi’ via.

Chiese quindi a Bandler di aiutarlo a informatizzare tutti i dati rilevati. Poi si rivolsero a Gregory Bateson, che si occupava di grammatica trasformativa, secondo il quale il linguaggio nasce dalla grammatica che abbiamo appreso e la qualità della vita è in relazione a questo processo, cioè da essa viene il nostro modo di comunicare e il nostro stile di vita. Quest’ultimo li indirizzò da Erickson.

Dunque, Grindler e Bandler registrarono, analizzarono e studiarono a fondo Perls , Satir ed Erickson e scoprirono che tutti e tre facevano le cose in modo inconscio.
Si chiesero allora : se Virginia Satir o Perls avevano avuto gli stessi insegnati, avevano vissuto nello stesso ambiente e trovato le stesse condizioni dei loro ex-compagni, perché non si erano prodotte tante Virginie Satir o Perls? Perché c’era solo un Milton Erickson ?

Se quindi disponiamo delle stesse informazioni, perché solo alcuni vincono e arrivano in cima, mentre altri con le stesse informazioni no ?
Che cosa scatta nel cervello delle persone che decidono di essere vincenti, e non scatta negli altri ? Perché non tutti ci riescono?

Grindler e Bandler estesero i loro studi ad altre persone di successo e si chiesero che cosa distingue tali persone dalla massa ? Quali solo le loro abitudini, il loro modo di agire e pensare?

Scoprirono che i vincenti facevano cose inconsce, di cui non erano consapevoli.

Basandosi su tale scoperta svilupparono la loro teoria e iniziarono a presentarla e a registrarla, chiamandola “Programmazione Neurolinguistica”.

Cosi’ nacque la Programmazione Neurolinguistica, “ un insieme di tecniche efficaci volte a produrre nelle persone cambiamenti permanenti e a breve termine”, in cui l’essere umano è quello che è a causa di ciò che crede inconsciamente e non di ciò che sa consciamente.

In sintesi e per concludere possiamo definire la PNL come un punto di riferimento sistematico su cui sintonizzare il nostro cervello, che ci insegna a maneggiare i nostri stati, i nostri comportamenti e quelli degli altri.

mercoledì 20 maggio 2009

Che cosa si intende per "personalità"

L’ esplorazione, mediante l’aiuto della psicologia e dei suoi molteplici strumenti conoscitivi, della personalità di un uomo, di una donna o di un bambino è davvero affascinante.

Vediamo allora di fare il punto, nel modo piu’ semplice possibile , su cosa intendiamo con questo termine. Benché si tratti di un termine di uso comune, la psicologia se ne serve con prudenza, e ce ne offre anzi diverse e persino opposte interpretazioni, secondo le epoche e le scuole che l’hanno affrontata.

Per prima cosa va detto che, al di là delle definizioni, la nozione scientifica di personalità programmaticamente ad una visione unitaria dei processi psichici, tende cioè a non considerare separatamente le diverse funzioni della mente, quali la memoria o l’affettività o la volontà, bensi’ a comprenderle tutte insieme. Chi parla di personalità ritiene insomma che tali funzioni siano un tutto armonico e integrato, regolato da dinamiche tali che la piu’ lieve modifica di una delle funzioni non può non interessare tutte le altre.

Rispetto all’uso comune del termine non c’è, in fondo, gran differenza, almeno a questo livello: quando diciamo di qualcuno che “ha personalità”, non intendiamo forse riferirci a qualcosa di complessivo, che va al di là dell’apprezzamento di questa o quella dote particolare? E’ stato giustamente rilevato che l’uso comune allude a una sorta di “abilità o accortezza sociale”, una capacità di suscitare nella gente una certa impressione, e al tempo stesso di reagire positivamente e costruttivamente ai diversi stimoli che vengono dalla realtà esterna.

Ebbene, c’è del vero in questo senso comune, in questo uso intuitivo del termine che la gente pratica senza rifletterci gran che: perché la concezione della personalità piu’ generalizzabile è in definitiva quella che tende a definirla come una “super-funzione”, una funzione della mente che è preposta al coordinamento e all’organizzazione di tutte le funzioni principali e secondarie, in modo tale da ottimizzare l’adattamento alla realtà esterna (che poi, nella nostra civiltà, è una realtà fondamentalmente sociale).

Diciamo dunque, a conclusione di questa brevissima esposizione, che i vari tests sulla personalità, quali il test dello scarabocchio, il test del disegno della famiglia, il test dell’albero, il test dei colori, il test delle favole, il test dell’omino e molti altri hanno lo scopo di dare un quadro orientativo di tutte le funzioni che costituiscono la vita mentale del soggetto, ma non prese isolatamente, bensi’ considerate nella loro risultante, nel loro insieme organizzato: la personalità, appunto. Del resto, servirebbe a ben poco sapere, in modo frammentato e parziale – anche se magari scientificamente inappuntabile – che il tal soggetto ha un certo quoziente di memoria, di aggressività, di abilità manuale e cosi’ via.

Sono queste valutazioni di cui solo gli specialisti sanno cosa fare: per tutti noi invece è bene considerare l’essere umano una persona a tutti gli effetti, della quale non si devono misurare le sole capacità, ma comprenderne profondamente, incoraggiarne e sostenerne il delicato e affascinante sviluppo sin dalla piu’ tenera età.

martedì 19 maggio 2009

Introduzione alla grafologia

Storicamente la grafologia nasce in Francia nel 1830, grazie all’opera dell’abate Michon, che per primo elabora un vero e proprio metodo grafologico nell’opera “Système de graphologie” e, successivamente, viene perfezionato dal lavoro di un suo allievo, J. Crépieux –Jamin (1859-1940), che ne classifica la scrittura e i suoi segni grafici in maniera rigorosa e scientifica.

In Germania, lo psicologo e filosofo nonché grafologo Ludwig Klages (1873-1956) introduce nella grafologia concetti filosofici e metafisici.

In Svizzera il caposcuola è lo psicologo Max Pulver (1889-1952) che per primo utilizza la psicanalisi junghiana nella grafologia ed afferma che, nell’atto dello scrivere, la mano risponde ad impulsi che partono dalla corteccia cerebrale e vengono fissati in un campo grafico rappresentato dal foglio.

In Italia, a parte i tentativi di C. Lombroso, molto si deve all’opera di Padre Girolamo Moretti (1879-1963), autentico caposcuola della grafologia italiana, che dà al suo lavoro un’impostazione centrata sul concetto dell’unicità, rielaborando una personale interpretazione dei segni grafici.

Verso la fine degli anni trenta Marco Marchesan (1899-1991) propone un sistema denominato “Psicologia della Scrittura”, individuando 226 segni e 3500 tendenze relative a tali segni.

Nel tempo la grafologia si diffonde nel mondo.

L’oggetto fondamentale della scrittura deve essere la devianza dal modello calligrafico, nel senso che tutti imparano a scrivere secondo un modello simile, nessuna scrittura, però, è uguale ad un’altra. Oltre a ciò è necessario associare un carattere grafico ad un particolare tratto della personalità, comprendendo i simboli che usa l’inconscio: ad esempio , il foglio rappresenta l’ambiente e cosi’ via.

La scrittura è, dunque, un gesto grafico in armonia con tutta la personalità ed è proprio attraverso tale studio che comprendiamo il linguaggio, la creatività , il comportamento e l’interiorità piu’ profonda di ogni essere umano.

Il vasto panorama delle psicoterapie

Il panorama è assai vasto ed ampio: ben piu’ di 500 diversi tipi di psicoterapia e decine di scuole di psichiatria e al loro interno i vari approcci che ne declamano la “verità scientifica” di ognuna.

Ora, come scegliere la terapia piu’ giusta, senza correre il rischio di perdersi in una tale foresta di alternative di cura?

La valutazione dell’ efficacia e dell’ efficienza di un determinato approccio terapeutico presenta una certa difficoltà, sia a livello metodologico ed etico che a livello di verifica dei risultati finali di efficacia dei vari trattamenti. Nonostante ciò, negli ultimi trent’anni, c’è stata un’ evoluzione degli studi di ricerca applicata all’efficacia dei vari interventi psicoterapeutici.

Efficacia

Anche se estremamente controverso e di non facile definizione , tale concetto si riferisce ad una distinzione dei disturbi presentati all’inizio della cura; ad un non presentarsi degli stessi disturbi a distanza di mesi e di anni alla fine del trattamento; ad un miglioramento delle competenze sociali della persona; ad un incremento della soddisfazione sessuale e relazionale del paziente; ad un incremento delle sue capacità di performance professionali e interpersonali.

Spesso trattamenti farmacologici su ansie e fobie possono garantire un’efficacia sul momento, ma non possono essere ritenuti un intervento risolutivo, in quanto si prevede che la persona ricorra all’assunzione del farmaco in caso di ogni attacco.

Anche il caso della psicanalisi che dura molti anni non può essere annoverato tra i criteri di massima efficacia in quanto essa implica un massiccio rapporto di dipendenza da un’altra persona, cioè dallo psicanalista.

Efficienza

Altro concetto estremamente importante è quello del problema dell’efficienza della terapia.
Per efficienza si intende il rapporto positivo tra costi e benefici, ossia se il rapporto tra i costi sostenuti dal paziente sia vantaggioso rispetto ai benefici ricevuti dall’intervento. Tale aspetto viene sempre piu’ studiato a differenza di un tempo, in quanto è molto importante valutare concretamente il tempo impiegato per produrre dei miglioramenti nelle diverse terapie, prendendo in esame l’esistenza di possibili rischi e danni in rapporto ai benefici prodotti.

La ricerca valutativa sull’ efficacia e l’efficienza delle diverse forme di psicoterapia ha una storia piuttosto lunga e tormentata anche se i tempi attuali sono molto cambiati . Oggi la ricerca si è molto evoluta seguendo le linee di quella che è la ricerca scientifica in psicologia.

Tuttavia il termine psicoterapia può apparire un termine abbastanza ambiguo, in quanto esso racchiude un’ampia gamma di attività e di interventi diametralmente opposti.

Analizzando le impostazioni teoriche di fondo e le pratiche cliniche usuali, si nota che le psicoterapie attualmente disponibili si possono raggruppare in grandi aree teoriche-applicative: gli interventi che si riferiscono al modello teorico psicanalitico; gli interventi che si riferiscono al modello comportamentista; gli interventi che si riferiscono al modello rogersiano; gli interventi che si riferiscono al modelli relazionali sistemici; gli interventi che si riferiscono al modello cognitivista; gli interventi che si riferiscono a un modello sistemico-strategico e di terapia breve- strategica.

Psicoterapia di orientamento psicoanalitico

Si tratta di forme di terapia che si basano sulle teorie e la prassi psicanalitica, partendo da quelle freudiane e junghiane per arrivare a quelle che fanno capo a grandi maestri quali Reich, Adler, Klein.
La cura è un processo di scavo nell’inconscio del paziente alla ricerca di cause, frutto di traumi del passato, che avviene all’interno della relazione tra psicanalista (transfert) e paziente.
Le tecniche fondamentali si basano sull’interpretazione da parte dello psicanalista delle fantasie, associazioni mentali e sogni del paziente.
Il processo di solito si prolunga nel tempo, con piu’ incontri settimanali, che durano talvolta anni e che si svolgono con il paziente steso sul lettino. La teoria stessa impone che il cambiamento debba essere qualcosa che avviene nell’inconscio e poi nella via del paziente.

Comportamentismo e terapie comportamentali

Questo approccio si basa sull’idea fondamentale che i disturbi di una persona dipendono da apprendimenti disfunzionali, in cui l’ambiente e le caratteristiche comportamentali sono la matrice fondamentale dei disturbi psichici.
Tale terapia si basa su un intervento attivo del terapeuta basato a sua volta sul ruolo di guida pedagogica affinché il paziente affronti in maniera diversa, a livello comportamentale, le situazioni fino ad allora vissute come difficili.

Terapie familiari

Esse partono dal presupposto che il disturbo del paziente sia il frutto di un malfunzionamento dell’intero sistema familiare. La terapia si svolge coinvolgendo l’intera famiglia e mettendo in atto varie forme di manovre terapeutiche adeguate alla diverse situazioni.

Terapie rogersiane

Sulla base delle teorie di Carl Rogers (1970), tale approccio parte dal presupposto di condurre il paziente a ridefinire il proprio modo di percepirsi e di agire. Il terapeuta si limita ad avere una funzione di specchio del paziente stesso, riproponendo al paziente ciò che egli afferma sotto altra forma.

Psicoterapia cognitiva

Questo tipo di approccio nasce dalla sintesi dell’ esperienza comportamentista con gli studi di psicologia cognitiva e alle modalità di strutturazione della personalità (Guidano,Reda, Bawlby).
La caratteristica di fondo è la cura attraverso una graduale ridefinizione cognitiva delle esperienze vissute dal paziente e del suo modo di rielaborare la realtà. Si usano tecniche quali i semplici confronti cognitivi , ridefinizioni e ristrutturazioni cognitive o prescrizioni comportamentali.


L’ultima generazione di psicoterapie sono le psicoterapie brevi, che si dividono al loro interno in :

Psicoterapie brevi-analitiche

Esse si rifanno ai concetti psicanalitici di fondo e vengono dichiarate come interventi di crisi, cioè servono a tamponare la crisi del momento e aprono la porta ad una successivo percorso di psicanalisi in senso classico.

Psicoterapie brevi-strategiche

Si tratta di un modello emergente negli ultimi trent’anni e che deriva da filoni sistemici della terapia familiare (Scuola di Palo Alto) e dagli studi relativi all’ipnosi e alla suggestione (Milton, Erickson). Tale approccio si basa sull’assunzione del fatto che i disturbi psichici derivino dalle modalità percettive, cognitive ed emotive che il soggetto ha nei confronti della realtà.
Obiettivo di tale terapia è il cambiamento delle prospettive percepite del paziente, con conseguente cambiamento delle sue modalità reattive e comportamentali. Si rompe quindi un circolo vizioso di retroazioni che fa persistere la situazione problematica.
L’intervento è di tipo attivo e prescrittivo: prescrizioni dirette, indirette e paradossali, ristrutturazioni, utilizzo di comunicazione suggestiva;


mercoledì 13 maggio 2009

La scrittura, un test e un messaggio per tutti

Scrivere è inviare un messaggio ad un’altra persona e affinché ciò avvenga è necessario che la persona stessa che riceve il messaggio lo comprenda e lo decodifichi. La relativa decodifica la si apprende poi nei banchi di scuola quando si apprende a leggere e a scrivere. Tale lettura non è comunque sufficiente o comunque risulta essere assai superficiale, poiché è necessario capire il significato simbolico dei segni usati dalla persona che l’ha scritto.

Le forme della scrittura rappresentano la nostra personalità
La codifica della forma delle lettere e della composizione delle parole secondo determinate norme ci permette di comporre un qualunque messaggio, ma il pensiero e l’interpretazione che ne traiamo leggendo tale messaggio, varia da persona a persona. Tali pensieri provano che ci sono forme che adottiamo che rappresentano per noi un secondo linguaggio e che non è traducibile per mezzo della parola del messaggio.
L’espressione delle parole è chiara e inequivocabile se si considera un oggetto o un disegno, ad esempio una spiaggia, un albero o un fiore, anche se nessuno farà la stessa composizione poiché ognuno li avrà visti a modo suo, cioè sarà rappresentativo dell’unicità della personalità dell’autore.
Allo stesso modo, la scrittura che noi tracciamo è la parte simbolica del nostro messaggio agli altri, è dunque il riflesso di noi stessi.

La grafologia interpreta il grafismo della scrittura
La grafologia ricerca le chiavi di questa espressione, in altre parole ne sottolinea il significato psicologico del gesto grafico, cioè dal tracciato scrittorio si risale alle componenti psicologiche della personalità di colui che ha scritto.

La scrittura rivela la personalità
Nel linguaggio corrente si afferma spesso che una persona ha “personalità”, intendendo dire che tale persona ha carattere e capacità di affermarsi. Tuttavia non tutti possono vantarsi di “possedere della personalità” ma ogni individuo ha senza alcun dubbio una propria personalità.
La personalità è dunque l’individuo nella sua totalità, con il suo temperamento, con la l’intelligenza e l’insieme delle sue esperienze vissute che emergono in ogni istante e che si fondono con la realtà esistente: un individuo in evoluzione.
Lo studio della scrittura e dei saggi dei vari periodi, ripartiti nel tempo, permette di esporre l’evoluzione dello scrivente.

Il gesto grafico corrisponde al temperamento
In un grafismo l’analisi del gesto grafico negli elementi che lo costituiscono permette di scoprire le caratteristiche temperamentali dell’individuo.

Il movimento della scrittura corrisponde alla relazione con gli altri
Lo studio del movimento scrittorio corrisponde al modo in cui il soggetto trasmette agli altri il suo messaggio, sia a livello sociale che affettivo.

LO STUDIO GRAFOLOGICO
Il buon esito di un’analisi risiede nella corretta interpretazione grafologica e psicologica degli elementi concreti di un scrittura.
Il documento grafologico da analizzare, non meno di una pagina, deve essere autentico e spontaneo, cioè scritto con la spontaneità e semplicità propria del soggetto scrivente, la cui presenza non è necessaria al momento dell’analisi.
I limiti della grafologia dipendono in primis dalla competenza del grafologo. Altri limiti possono essere circostanze speciali in cui il documento viene scritto ad esempio un treno in marcia o stesi a letto, oppure in un particolare stato emozionale.

Il LAVORO DEL GRAFOLOGO
Il lavoro del grafologo è molto impegnativo perché egli deve capire la personalità dello scrivente, acquisire un’attitudine e un modo di pensare simili a quella di uno psicologo, senza giudicare e nella massima obiettività.
Innanzitutto si procede con lo studio del documento grafico ed in seguito se ne sintetizza la personalità.
Lo studio della grafia è l’esame di tutte le caratteristiche della scrittura, le si classifica in base al loro significato, della loro importanza, della loro frequenza ed intensità.

Il lavoro di sintesi è senza alcun dubbio il piu’ delicato, perché l’interpretazione di ogni singolo segno dovrà fondersi con tutta l’interpretazione dell’ intero contesto grafico.

I principali strumenti di lavoro di cui un grafologo si avvale sono i testi di grafologia, di psicologia, oltre ad un doppio decimetro , una lente di ingrandimento e cosi’ via.